L’alimentazione forzata in Mauritania

Alimentazione forzata in Mauritania collage fotografico in cui si mostra come le bambine vengono obbligate a bere il latte

L’alimentazione forzata in Mauritania

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I canoni di bellezza rappresentano l’ideale estetico riconosciuto dalla società, per questo sono strettamente legati alla cultura di riferimento, alla storia, alla situazione economica e sociale di un popolo. Raccolgono le migliori e più desiderabili caratteristiche di bellezza fisica e variano a seconda dei Paesi in cui ci troviamo.

In Mauritania le donne in carne sono state per molti anni considerate le più desiderabili.

In questo articolo vi racconto un’antica tradizione ancora praticata, soprattutto nelle zone rurali, che impone alle donne di ingrassare oltremisura per prepararsi al matrimonio.

L’antica pratica del leblouh raccontata agli occidentali

Leblouh (o gavage, in francese, parola che significa alimentazione forzata) è il nome dell’antica pratica che impone alle femmine mauritane un’alimentazione forzata ipercalorica, per ottenere quel fisico in carne richiesto dagli ideali di bellezza locali e diventare così ragazze desiderabili, da matrimonio.

Per la società occidentale abituata negli ultimi decenni a convivere con canoni estetici inversi, in cui la bellezza è considerata anche troppo spesso sinonimo di magrezza, tutto questo appare difficilmente comprensibile. Questo vale soprattutto per le generazioni più giovani cresciute con questi ideali…eppure nemmeno in Occidente è sempre stato così.

L’alimentazione forzata in Mauritania ha origini arabo-berbere ed è una realtà ereditata da una società che per secoli ha convissuto con lo schiavismo e la povertà.

Alimentazione forzata in Mauritania foto di una donna in carne mauritana

Partendo da questo prospettiva diventa più semplice capire come la magrezza possa essere associata all’idea di povertà. La mancanza di cibo produce fisici più esili, quindi schiavi e poveri sono magri. In contrapposizione, un corpo più grasso riporta all’idea di un maggiore benessere economico.

Un punto di vista comprensibile ripercorrendo i precedenti storici della società locale, ma che comporta l’attuazione di pratiche indifendibili. Proprio così, spesso vi ho parlato della diversità come valore, di rispetto per le culture e di tradizioni da difendere… non tutte le tradizioni però rappresentano una ricchezza da preservare. Ci sono situazioni in cui queste comportano gravi limitazioni di libertà, danni alla salute e violenze. La tradizione dell’alimentazione forzata rientra in questa casistica. Le giovani vittime del leblouh sono poco più che bambine e ciò che devono sopportare fa rabbrividire.

La tortura ed i suoi effetti

Alimentazione forzata in Mauritania foto di tre bambine che mostrano le grandi ciotole di latte che devono bere

Le bambine in Mauritania, a partire dai sette anni o poco più vengono costrette ad assumere latte di cammella, pappa d’avena, farina di miglio e cous cous in enormi quantità. Questi cibi, ricchi di grassi, contribuiscono a un repentino aumento del peso (si parla di quasi dieci chili in un paio di mesi). Spesso vengono condotte in centri appositi che si occupano di sottoporle a regimi di dieta ipercalorica con più di quattro pasti al giorno, somministrati anche di notte. Se si rifiutano perché non ce la fanno vengono torturate, se vomitano vengono costretta a ingoiare tutto.

La pratica è stata paragonata al trattamento riservato agli animali negli allevamenti intensivi.

Chi non riesce a sopportare la pressione fisica e psicologica di questi regimi alimentari ricorre a pillole al mercato nero, cure a base di ormoni e oli tossici per gonfiare, con conseguenti intossicazioni.

Non è difficile intuire i gravi danni alla salute che queste pratiche comportano, in alcuni casi gli effetti sono letali. Nella migliore delle ipotesi le ripercussioni saranno limitate ad un incremento nel rischio di sviluppo di svariati disturbi che comprendono malattie metaboliche come il diabete, malattie cardiovascolari come l’ictus e l’infarto, malattie respiratorie, problemi a carico delle articolazioni, infertilità, malattie dell’apparato digerente e di carattere psicologico.

«Il corpo della sposa»

Nel 2019 la pratica del leblouh è stata raccontata con garbo e sensibilità anche attraverso un film documentario della regista italiana Michela Occhipinti dal titolo «Il corpo della sposa».

La protagonista della storia si chiama Verida ed è una giovane promessa sposa appartenente ad una famiglia borghese di pelle chiara. Le sue origini coincidono proprio con quelle della minoranza arabo-berbera che si definisce “bidan“, o bianca. Un chiaro riferimento al colorito più chiaro della pelle rispetto alla maggioranza nera, quest’ultima suddivisa fra “nati liberi”, appartenenti a varie etnie, e “haratin“, termine che definisce invece la gente di pelle scura discendente da ex schiavi.

La famiglia di Verida abita in una casa in muratura, con acqua e corrente elettrica: un lusso che in Mauritania non è per tutti. I genitori hanno trovato un accordo con una famiglia benestante e la giovane è destinata a sposare il loro rampollo. Inizia così il conto alla rovescia verso la data delle nozze, a cui la sposa dovrà presentarsi in carne, anzi decisamente sovrappeso, con un corpo fasciato e racchiuso nei veli tipici dell’abbigliamento delle donne islamiche. Per ottenere l’aspetto richiesto, la ragazza è costretta a bere ogni giorno molti litri di latte di cammella o di capra e abbuffarsi con quantità spropositate di cous cous con carne grassa di agnello.

C’è una frase che la nonna di Verida le dice ad un certo punto: «Occuperai nel cuore di tuo marito lo stesso spazio che occuperai nel suo letto». Si tratta di un noto proverbio autoctono.
Queste parole riassumono perfettamente il concetto alla base della tradizione mauritana.
Si tratta di una vera e propria forma di tortura, che costringe Verida e le sue coetanee ad ingerire cibo fino alla nausea, perdere il controllo del proprio corpo ricoperto di grasso, deformare il volto e provocare gravi ripercussioni sulla salute.

Verida si piega alla tradizione, ma in parallelo cerca di continuare la sua vita, la regista segue la ragazza, analizza i suoi stati d’animo, racconta allo spettatore la sua insofferenza che cresce di giorno in giorno.

L’attrice protagonista è stata scelta non solo per la bellezza del suo sguardo, ma anche perché aveva vissuto l’esperienza del leblouh sulla propria pelle. Se siete curiosi trovate il link al trailer qui.

La situazione attuale

Alimentazione forzata in Mauritania foto di una bambina che piange mentre viene forzata a bere il latte

Oggi in Mauritania la situazione sta cambiando, ma soprattutto nelle aree rurali l’ideale estetico tradizionale ha ancora la meglio sulla mentalità di molti. 
Qui dicono <<nessun uomo sogna una moglie magra: la magrezza è sinonimo di povertà.>> Le madri sottopongono ancora le proprie figlie alle torture dei centri specializzati per farle ingrassare rapidamente e darle in spose ancora bambine a uomini più adulti. È l’unico modo che conoscono per dargli un futuro ed evitare l’emarginazione.
Nemmeno dopo le nozze una donna sposata può mettersi a dieta: il marito non gradirebbe. Cosí le mauritane restano sovrappeso, ma una via d’uscita da questo inferno per le donne esiste.

Tra le nuove generazioni il cambiamento è fortunatamente evidente. Le giovani studentesse di città sono consapevoli dei rischi alla salute dovuti ad un’alimentazione errata. Inoltre sono cresciute sotto l’influenza della globalizzazione che gli ha mostrato una mentalità diversa. Con la modifica dei canoni di bellezza ideale, finalmente il fenomeno del leblouh è destinato pian piano a scomparire.
I giovani non desiderano più donne obese, ma sane e aggraziate.

I medici hanno lanciato molte campagne per sensibilizzare le persone a rivedere le pratiche alimentari tradizionali. La maggioranza dei casi di donne da ospedalizzare per malattie legate all’obesità proviene dalle campagne.

Alcuni attivisti hanno richiesto azioni legali contro coloro che praticano professioni connesse al leblouh, attività tollerate dal governo e giustificate per anni perché fortemente radicate nella tradizione culturale mauritana.

Il problema dei canoni imposti purtroppo è molto esteso e accomuna donne appartenenti a culture molto diverse fra loro. Società anche molto distanti a livello di background hanno in comune il potere di togliere a troppe donne la libertà di scegliere in che modo sentirsi belle e la possibilità di accettarsi. Le obbliga a pensare che la bellezza passi attraverso la sofferenza e l’omologazione, emarginando coloro che sono diverse. Eppure nemmeno in nome di tradizioni millenarie è giusto rendere queste donne prigioniere dei propri corpi e schiave di una società che le vuole assoggettate ai desideri altrui. Penso anche, ad esempio, alle “Donne giraffa” della tribù Kayan che ho conosciuto qualche anno fa (e di cui vi ho raccontato qui).

Personalmente ho sempre difeso e cercato di comprendere tradizioni e culture diverse dalla mia, credendo fermamente nella ricchezza che custodiscono, ma con limiti ben precisi, se comportano violenze fisiche e/o psicologiche a danno di altri allora non sono accettabili. Renderne consapevoli più persone possibile è comunque necessario, in questo caso non per mantenerle vive, ma per alimentare la consapevolezza ed un cambiamento reale nel tempo.


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Daiana Natalini
Travelblogger per passione, inguaribile sognatrice innamorata dei viaggi da sempre… Questo è il mio blog per avventurarci insieme tra le strade del mondo. Leggi qui se vuoi saperne di più.
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